Un anno di scuola. A scuola di razzismo nella Gorizia in camicia nera

Dal 2006 la Fondazione - Sklad Dorče Sardoč e il Centro Leopoldo Gasparini promuovono una collana editoriale con il proposito di mettere in contatto storiografia italiana e slovena attraverso traduzioni che consentano alle diverse culture e memorie del nostro territorio di porsi a confronto con tutta la complessità della storia del nostro Novecento. E' quello che cerchiamo di fare anche con questo volume curato da Ferruccio Tassin: "Un anno di scuola. A scuola di razzismo nella Gorizia in camicia nera", che suggerisce più di una riflessione al lettore su un tema, quello della scuola fascista, su cui raramente le due storiografie nazionali hanno avuto modo di confrontarsi. Eppure i motivi per farlo sono tanti. Con l'annessione all'Italia la scuola nel nostro territorio divenne un'istituzione centralizzata, controllata rigidamente dal potere politico che tradizionalmente se ne serviva per formare nuove generazioni secondo i modelli culturali che riteneva più utili. Uno strumento volto da sempre a garantire l'ordine sociale che però in questa regione venne chiamato anche ad altri compiti. Per il "fascismo di confine" la "scuola di confine" aveva anche il compito di giustificare la supremazia nazionale italiana come un dato di fatto "razziale". La cancellazione delle scuole slovene non era sufficiente all'affermazione del nuovo potere. La scuola fascista con i suoi riti militaristi, uniformi, parate, feste patriottiche in un numero che il Litorale Austriaco non aveva mai conosciuto, doveva motivare, non solo sostenere, il nuovo ordine politico e statuale. Il quaderno proposto in queste pagine venne prodotto nel 1932, in occasione del decennale della "rivoluzione" fascista. Era un'occasione per il fascismo di confine per fare il punto sul processo di fascistizzazione della società e per misurare l'efficienza della "scuola di confine". Un'occasione importante anche per le maestre impegnate a dare prova della loro lealtà al duce e della propria padronanza della cultura fascista. L'immagine della scuola che esce da queste pagine è quella di una scuola "violenta" che insegna il razzismo e la supremazia del più forte, che prepara la guerra che verrà attraverso la retorica della guerra appena conclusa. La persecuzione del diverso nei testi dettati dalle maestre non è solo giustificabile moralmente, è un ob- biettivo da raggiungere così come la guerra con il diritto al bottino da parte del vincitore. La generazione che abitava quelle aule inevitabilmente la guerra la voleva e la aspettava e forse non è sbagliato chiedersi quanto di questa cultura abbia attraversato indenne anche il nostro lungo dopoguerra.

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